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lxxxiv ESIODO

gli imitatori, lo mette in una posizione originale di fronte e contro ad Omero.

Ché Esiodo è il vero antipodo d’Omero. Quanto Omero è molteplice, tanto Esiodo è intimo e raccolto. Omero cerca tutta la terra e tutto il mare, e, non pago, ascende il cielo, e s’immerge nei regni delle ombre. Ce lo figuriamo volentieri simile al navigatore Ulisse, che mai non desiste dall’errare, sempre cercando i costumi e la vita degli uomini. Esiodo non distoglie mai le pupille dal suo campicello, dai picchi e le selve che lo circondano. E scopre anche qui un mondo infinito: ché per un occhio e per un’anima che sanno vedere, l’infinito è nella cerula profondità dei cieli e nell’impercettibile germe che contiene in potenza l’albero e l’innumerevole selva.

E se insistiamo nel fecondo confronto, vediamo che Esiodo sta ad Omero come a Raffaello e ai grandi pittori del Rinascimento italiano stanno i pittori fiamminghi. Vaghi quelli di grandiose azioni storiche e mitologiche, questi della vita borghese. Quelli fanno dominare nel primo piano, incontrastate, le figure umane, e relegano nello sfondo il paesaggio: pei fiamminghi il paesaggio o l’ambiente sono spesso i veri protagonisti. Gl’Italiani aspirano soprattutto alla bellezza; e il non bello, è, tutto al piú, accolto per far risaltare il fulgore del bello (cosí Tersite in Omero): i Fiamminghi sembrano quasi preferire il brutto al bello.

Ma rilevando questa indifferenza, e, a momenti, questa predilezione di Esiodo pel brutto, bisogna chiarire un equivoco.

Si è parlato, in questi ultimi tempi, non per biasimare, ma per caratterizzare, della rozzezza della poesia, della durezza dell’esametro d’Esiodo.