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PREFAZIONE lxxiii

ogni probabilità, apparteneva ad un ciclo anche piú ampio, o, almeno, di maggior contenuto che non fosse il ciclo epico, il quale incominciava col pomo della discordia, e finiva con la morte di Ulisse.

Tutti miti, parrebbe, d’altra gente, e che stavano alla ricchissima famiglia dei miti achei appunto come la squallida religione pelasga stava a quella olimpia, tutta inondata di luce solare.

Parti gnomiche. - Disseminate un po’ in tutto il poemetto, e di contenuto assai diverso, dalle massime piú propriamente morali ai precetti d’igiene e alle regole di galateo, si confonderebbero, se non avessero qui designata la paternità, con tutte le altre massime versificate, che dal settimo secolo in giù circolarono per tutta la Grecia, e che per buona parte si raccolsero nello zibaldone teognideo. Non erano, veramente, materia da eccitar troppo la fantasia d’un poeta; ma in Esiodo non appare neppure il tentativo di animarla, di colorirla. Tranne per un gruppo, che, evidentemente, lo interessa, anzi lo appassiona: le massime che riguardano la giustizia.

E in questo interesse e in questa passione dobbiamo riconoscere un indice sicuro della paternità esiodea. Un colpo formidabile per l’animo d’Esiodo fu la sentenza ingiusta che i giudici pronunciarono nella lite fra lui e il suo fratello Perse. Esiodo fu obbrobriosamente soverchiato. E profondamente radicato nell’anima greca era il concetto della vendetta. Ma che cosa poteva fare contro i possenti principi1 di Tespia il povero possidentuccio di Ascre? L’unica arme che possedesse era il verso. Esiodo l’impugnò con saldo cuore.

Quasi tutta la prima parte del poemetto è una vera e propria vendetta in versi. E perciò riuscí vera poesia: ché poesia

  1. Βασιλεῖς. Erano dieci primati di Tespia, che avevano anche funzione di giudici.