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lxiv ESIODO

Grote, proverbiava il Thirwall, reo d’aver creduto che qualche dato storico si potesse distillare dalla leggenda troiana. «Quella che io segno come terra incognita — diceva il Grote — è per lui una terra che fino ad un certo punto può essere conosciuta; ma la carta che egli ne disegna contiene cosí poche località sicure, che ben poco differisce dall’assoluta vacuità». — «Assai deve fidare nella sua intuizione — diceva altrove — chi presume ricavare da cosí intricate parole alcun dato storico».

Ironia, che fu delibata fino all’ultima stilla da tutti i critici positivi; ma che ora, dopo 60 anni di prodigiose scoperte (lo Schliemann cominciò i suoi scavi ad Hissarlick nel 1870), ricade in pieno sul capo di chi se ne serví allora con tanto compiacimento.

Egli è che il Grote, ad onta delle sue altissime doti, equivocava stranamente nel credere che spirito animatore e guida delle discipline storiche potesse essere la medesima vigilanza meticolosa sospettosa e guardinga che giova — seppure — nelle cose pratiche.

Giova invece, innanzitutto, quella intuizione a cui egli accenna con tanto sarcasmo: giovano il sentimento, la passione, la fantasia: giova la mente divinatrice.

Ed ora rileviamo un fatto singolare. Nella sistemazione teologica della Teogonia, trovano posto tutti i Numi, e dunque, primi quelli d’Olimpo. Ma la radiosa schiera di questi ultimi, che tanto aveva sedotta la fantasia, sia pure non reverentissima, d’Omero, e che doveva poi imprigionare nel cerchio del suo incantesimo tanta parte della poesia e quasi tutte le manifestazioni delle arti figurate di Grecia, non sembra esercitare alcun fàscino sulla fantasia d’Esiodo. I loro nomi,