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lvi | ESIODO |
orgiastico. Ecate non è la Dea d’un popolo entusiastico e fanatico, bensí d’un popolo di lavoratori, povero, democratico. D’un popolo presso cui la donna era in grande onore, se in essenza femminile si concepiva la divinità suprema. D’un popolo in cui le principesse non erano foggiate sul tipo delle magalde achèe, di Pasifae, di Fedra, di Arianna, di Elena, di Clitemnestra; ma piuttosto su quello di Ecuba o di Andromaca, le virtuose regine del popolo troiano, in cui prevaleva l’elemento pelasgico1.
E quando lo Schoemann dice2 che nella Teogonia Ecate rappresenta o simboleggia il lato caritatevole di Giove, sofistica di sicuro, attribuendo ad Esiodo una concezione del padre degli Olimpii simile a quella che Dante ebbe dell’Iddio cattolico, nel quale si sposano carità e giustizia. Ma la sofisticheria era originata da una impressione fondamentalmente giusta: quella che avvicina l’antichissima Ecate, quale Esiodo la descrive, a concetti della nostra religione, anzi alla piú cara figura di essa. Ché Ecate è la vera e propria Madonna pelasgica.
Sarà temerario voler precisare ancora queste induzioni?
Tutti gli studiosi, in omaggio a un mal vezzo che identifica il carattere scientifico con l’assenza della meditazione, risponderanno forse di sí. lo non credo. In fin dei conti, in mezzo alla spaventosa oscurità della storia greca preomerica, questo poemetto d’Esiodo è l’unico documento parlato. Una luce fatua ed incerta, lo so bene. Ma se, trovandoci al buio con una debolissima fiammella, spengiamo anche quella, per