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ovvie, dal linguaggio immaginoso e figurato del mito a quello abituale, riescono tutt’altro che irrazionali ed inverosimili.

Per veder chiaro, bisogna, anche qui, fare astrazione dalle digressioni, alle quali il poeta si abbandona ogni momento, e leggere di seguito le parti omogenee e connesse del racconto, che incomincia al verso 132, e va fino al 210, per riprendere dal 453 al 522, e poi, saltando anche la digressione su Prometeo, sulla quale dovremo tornare, riprende al 617, per terminare al 747.

Ed ecco, dunque, in breve schema, la


STORIA DEI TITANIDI


Urano, via via che da Gea gli nascono figliuoli, li nasconde nei baratri della terra. Ma la madre stessa eccita alla riscossa i figli; ed uno di questi, Crono, mutila il padre, e assume il potere, facendo sua sposa Rea.

Se non che, anch’esso adotta riguardo ai figli, i costumi paterni, e appena nati, li divora.

Ma uno d’essi, Giove, scampa alla sua ferocia, lo debella, lo costringe a rivomitare i figli, e scioglie dai ceppi gli zii paterni, cioè i figli d’Urano, i Titani, i quali per gratitudine gli accordano tutti gli attributi del potere. Subito dopo questa storia, che va sino al verso 506, comincia la storia di Giapeto e dei suoi figli. E comincia con le punizioni inflitte da Giove a questi figli, Atlante, Menezio, Prometeo ed Epimeteo. Si narrano le beffe reciproche, poi segue una digressione sulle donne.

Poi, di punto in bianco, il poeta passa ad un argomento differente, o che sembrerebbe differente; e ci mostra schierati in guerra, da una parte, su l’Olimpo, i Cronidi, nati da Rea e da Crono (630, v. 625), e dall’altra, su l’Otro, i Titani.