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xxxviii ESIODO

stato di nebulosi fantasmi, senza reale corrispondenza nei miti e nella credenza, o diciamo di piú, nella coscienza o addirittura nella conoscenza del popolo.

Ma non è proprio cosí. Esse occupavano davvero il loro posto, e neanche tanto modesto, nella mitologia corrente ai tempi di Esiodo, e facevano grandi sforzi per uscire dalla indeterminatezza, e acquistare concretezza attraverso i soli modi possibili, cioè attraverso le varie espressioni artistiche. Onde ecco, nella pittura, di cui sono fedele riflesso le figurazioni ceramiche pervenute sino a noi, non soltanto le Moire, le Kères, Eris, Hypnos, Thànatos, bensí anche creature che hanno piú spiccato carattere di astrazione: Dike, per esempio, la Giustizia, che strangola la sua nemica Adikía1; e perfino Géras, la Vecchiaia, che deve soccombere strangolata fra le dita poderose di Ercole2. E della pittura, sia pure nei suoi riflessi ceramici, noi non possediamo che miserrimi frammenti: nessun dubbio che un materiale maggiore amplierebbe la nostra collezione di personificazioni figurate. A buon conto, ecco, in una narrazione di Plutarco, una figurazione della Fame che si può dire il vero surrogato d’una pittura. Plutarco racconta dunque (Questioni conviviali, II, 8), che anticamente si celebrava nella sua patria una cerimonia detta «l’espulsione della fame». Si cacciava fuori dalla porta un servo, percuotendolo con verghette di agnocasto, e accompagnandolo con le grida: «fuori la fame, dentro la ricchezza e la salute». — Al pari, dunque, d’una pittura, e forse piú, questa cerimonia illumina la tendenza a concretare in forma visibile queste specie di astrazioni demoniache.

E accanto alla pittura, vanno annoverate le figurazioni

  1. Nel lessico del Roscher, alla voce Δίκη.
  2. Nell’opera di Ernesto Pfuhl: Malerei und Zeichnung der Griechen, III, 182.