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PREFAZIONE | xxxvii |
della Frode si può pensare che il tempo a lei piú propizio è la notte: torna alla mente che nelle Opere e i giorni (605) il ladro è chiamato il Dormidigiorno (ἡμερόκοιτος).
Meno chiaro è per Nemesi. In sostanza, si può dire che questa divinità sia la personificazione del sentimento morale che riprova ogni violenza (si veda il famoso luogo dell’Iliade, in cui i vecchioni ammirano Elena). Ma siccome in processo di tempo diviene esecutrice delle vendette celesti, si capisce come potesse assumere un carattere sinistro, quasi d’Erinni: onde l’inclusione esiodea tra le altre essenze fatali all’umanità.
Si entrò cosí nel concetto, del resto ovvio e popolare, che identifica con le tenebre e con la notte tutti gli affanni e i mali innumerabili che affliggono l’umanità. E qui, senza ingolfarci in altre minute enumerazioni, troviamo facilmente l’addentellato per tutte le altre personificazioni che Esiodo annovera tra i figli della notte. Ad esclusione di Momo, il Dio dello scherno. Non mi riesce di veder le analogie fra lui e le tenebre; e bisognerà supporre, anche qui, che Esiodo obbedisse a una tradizione precisa, di cui ci sfugge il carattere.
Ed ora, bisogna accentuare una osservazione già fatta nella trattazione generale del mondo mitico. Piú d’un lettore, vedendo annoverati, tra i figli di Eris, le Guerre, le Stragi, i Dolori, la Fame, le Fatiche, e, peggio ancora, i Discorsi e le Dispute, può essere facilmente indotto a credere che non fossero vere creature della mitologia corrente, e che Esiodo le inventasse un po’ di sua testa, come fecero poi i poeti accademici, che compilavano loro monotone filastrocche di nomi vani senza soggetto1. O, per lo meno, che, anche se si trovarono già accolte nella mitologia, rimanessero però sempre allo
- ↑ Tale è l’opinione del Wilamowitz nel suo recentissimo Hesiodos (Berlino, 1928).
p. 135): Die Liebeslust, wobei namentlich an die nächtliche des gemeinschaltlichen Lager zu denken ist.