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NOTE 167

e inefficaci sono le parole del poeta che cercano di mascherarla. E c’è palese incongrenza nel dire a) che sapeva da prima la frode, b) che avvampò d’ira quando la scoperse.

Pag. 81, v. 886. - Metis in greco vuol dire Senno (dalla stessa radice di mens). L’allegoria è trasparente. Il Signore supremo deve aver la saggezza come sposa. Tutta quest’ultima parte del poemetto è stanca, piena di doppioni e di contraddizioni con la prima, e certo per gran parte interpolata.

P. 85, v. 967. Questa è proprio la forma della leggenda sulla quale s’impernia l’argomento del Pluto di Aristofane.

Pa. 87, v. 1004. - Psamatea vuol dire la sabbiosa: è la stessa il cui nome ho tradotto con Arena nel catalogo delle Nereidi.

Pag. 87, v. 1013. — Latino figlio di Circe.

Pag. 88, v. 1020. - Questi due versi sembrerebbero appartenere alle Eoe o Catalogo delle Donne. E forse anche tutto l’ultimo brano. Ma anche inoltrarsi in queste ricerche non può dare risultati né concreti né importanti.


NOTE A «LO SCUDO D’ERCOLE»



Pag. 93, v. 1. — Il principio sembra dimostrare che questo brano appartenne alle Eoe, vedi pag. 113. Però non si vede bene come in un poema che trattava principalmente di donne trovasse luogo questo luogo racconto, a cui non si può tribuir carattere di digressione, dell’impresa d’un uomo. Posto adatto vi troverebbe il principio, sino al verso 56.