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158 | ESIODO |
scalzarono, a vendetta d’Elena chioma bella.
Perciò questa città popolosa una effigie gli eresse,
E rimasto qualche tempo in questa città, si recò a Delo, alla festa solenne. E qui, salito su l’altare di corno, recitò l’inno ad Apollo che comincia col verso:
No, non oblio, mi ricordo d’Apollo che lungi saetta.
E dopo che ebbe recitato quell’inno, gli Ionî gli conferirono la cittadinanza, e i Delfi, incisine versi in una lastra bianca, li affissero nel tempio di Artèmide.
E finita la festa, il poeta navigò ad Io, presso Creòfilo, e rimase lì un certo tempo. Ed era già vecchio. E raccontano che, sedendo un giorno sulla spiaggia del mare, rivolse a certi ragazzi che tornavano dalla pesca la seguente domanda:
O pescatori d’Arcadia, che abbiamo pigliato di bello?
E quelli risposero:
Quanto cercammo perdemmo, portiamo ciò che non prendemmo.
E Omero non capí, e chiese che cosa volessero dire. E quelli risposero che alla pesca non avevano preso nulla, ma che s’erano empiti di pidocchi. E di questi pidocchi, quelli che avevano potuti acchiappare, li avevano gittati via, e quelli che non avevano potuti acchiappare, i portavano ancora nei mantelli.
E Omero, ricordandosi allora che secondo l’oracolo doveva finir qui la sua vita, scrisse l’epigramma per la propria tomba.