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LA GARA FRA OMERO ED ESIODO 153

omero


Morire dopo molti piaceri e pochissimi affanni.


E recitati anche questi versi, decretarono che si incoronasse Omero. Ma il re Panède ordinò che ciascuno recitasse il brano piú bello dei proprî poemi. Ed Esiodo primo disse1:

Quando le Plèiadi, figlie d’Atlante, si levano in cielo,
tempo è di mietere; quando tramontano, è tempo d’arare.
Esse quaranta giorni rimangono ascose, e quaranta
notti; e di nuovo, poi, volgendosi il giro dell’anno,
quando si arrotan le falci, ritornano, e brillano in cielo.
Questa è la norma, dunque, dei campi, per quelli che al mare
vicino hanno soggiorno, per quelli che lungi dal mare
hanno dimora in valli profonde, su pingui terreni:
di seminare ignudi, di spingere ignudi l’aratro,
e ignudi mieter, quando matura a suo tempo, ogni frutto.


E dopo di lui, Omero2:


E si disposero in due falangi vicino ai Troiani,
salde, che neppur Marte, né Atena che popoli scuote,
se fosser giunti, apporre potevano biasimo; e l’urto
d’Ettore e dei Troiani, qui scelti attendeano i piú forti,
l’asta assiepando all’asta, lo scudo allo scudo proteso,
sicché scudo era a scudo puntello, elmo a elmo, uomo ad uomo.
E si toccavan degli elmi criniti le lucide creste,
ad ogni passo; tanto fitti erano, l’uno su l’altro.
E per le lunghe lancie protese a ferire, la pugna

  1. I versi che seguono sono delle Opere e i giorni, 383 sg.
  2. I versi che seguono sono dell’Iliade, XIII, 126 sg., 339 sg.