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122 ESIODO

e molti doni a lei recò: ché nutriva gran brama
d’avere Elena sposa.



D’Idomenèo la gran possa giungeva da Creta, a cui padre
Deucalïone fu, figliuolo del grande Minosse;
né alcun dei pretenenti mandò che messaggi recasse,
ma nella nave negra dai multipli banchi, egli stesso
andò, pei foschi flutti del mare d’Ogílio alla casa
di Tíndaro assennata, per Elena avere consorte.

Tindaro esige dai pretendenti un giuramento.



Ai pretendenti giuri solenni richiese: li fece
giurar che a niuna impresa nessuno sarebbesi accinto
senza di lui, per avere sua sposa la vaga fanciulla.
E, se per forza alcuno rapirla volesse, e bandire
la verecondia e il pudore, li astrinse che contro quell’uno
tutti dovessero uniti scagliarsi, ed averne vendetta.
E senza indugio promisero quelli: ché ognuno sperava
ch’Elena sua sarebbe: però Menelao vinse tutti,
d’Atríde il figlio, a Marte diletto, che doni recava
piú copïosi. E Chirone, nel Pelio selvoso condusse
il pie’ veloce Pelíde, degli uomini tutti il più prode,
fanciullo ancora: ché neppur Menelao caro a Marte
vinto l’avrebbe, né alcuno di quanti sono uomini in terra,
se gareggiato avesse per Elena, e ancora fanciulla
trovata, ritornando dal Pelio alla patria, l’avesse
Achille: or Menelao l’ebbe prima, diletto di Marte.

Giove concepisce l’idea della guerra troiana.



Essa a vita die’ nella reggia ad Ermíone bella,
contro ogni attesa; e i Numi si scissero tutti in due parti,