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98 ESIODO 157-189

si putrefanno sul negro terreno alla vampa di Sirio. *
Bruna di sangue umano sugli òmeri aveva una veste,
terribilmente guatava, gridava, strillava a gran voce.
160E, piú che non si dica, terribili, teste di serpi
v’erano, dodici: e in seno spiravan terrore ai mortali
che a faccia a faccia contro movessero al figlio di Giove.
Alto suonava dei denti lo strepito, quando pugnava
d’Anfitrïóne il figlio, mandavano fiamme le insegne.
165Eran varïegati di punti gli orribili draghi:
azzurri sopra il dorso, ma negre parean le mascelle.
E branchi c’eran poi di cinghiali selvaggi e leoni,
che gli uni sopra gli altri gittavano gli occhi furenti,
cupidi, e andavan fitte le loro falangi; né questi
170tremavano né quelli: sul collo, irti i crini ad entrambi.
Ché già spento un immane leone giaceva, ed intorno,
privi di vita due cinghiali, e di sotto stillava
a terra il negro sangue. Cosí, le cervici stroncate,
giacevan dove uccisi li avevan gli orrendi leoni.
175E piú crescea di zuffe la furia e l’émpito, in questi
e in quelli, apri selvaggi, leoni dagli occhi di fuoco.
     C’era la zuffa poi dei Lapíti maestri di lancia,
col re Cenèo, Drianta, Pirítoo, Pròloco, Oplèo,
Falèro, Esòdio, Mopso d’Ampíco figliuol. Titarèsio
180prole di Marte, Tesèo figliuolo d’Egèo, pari ai Numi:
essi d'argento, l’armi che ai fianchi cingevano, d’oro.
Eran dall' altra parte raccolti i Centauri, alla pugna,
intorno al gran Petraio, ad Àsbolo vate d’augelli,
ad Arto, a Urèo dai negri capelli, a Mimante, a Driàlo,
185ai due Peucídi, a Perimedèo: tutti quanti foggiati
eran d’argento, e abeti stringevano d’oro fulgente.
E, fatto impeto insieme, cosí come fossero vivi,
con l’aste e con gli abeti da presso veniano alla pugna.
Ed eran qui di Marte terribile i ratti corsieri,