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124-156 LO SCUDO DI ERCOLE 96

i fianchi cinse poi tutto in giro col bel corsaletto
125istorïato, foggiato nell’oro: l’aveva donato
a lui Pàllade Atena, la figlia di Giove, quand’egli
dovea la prima volta provarsi nei duri cimenti.
Poi quel tremendo, il ferro che tiene lontana la morte,
sugli omeri adattò: fissandolo al petto, il turcasso
130concavo, dietro le spalle gittò: dentro v’erano molte
frecce, di muta morte ministre, di brividi orrendi.
In punta avevano esse la morte, stillavano pianto,
erano levigate nel mezzo, lunghissime, e dietro
velate con le piume dell’aquila fulvida negra.
135La lancia indi impugnò, con la punta di lucido bronzo,
orrida, sopra il capo gagliardo una gàlea pose,
istorïata di fregi, infrangibile, adatta alle tempie:
d’Ercole il capo questa schermiva, del figlio di Giove.
Poscia lo scudo, vario d’agèmine, prese; né alcuno
140franto lo avrebbe, ammaccato di colpi: stupore a vederlo.
Ché tutto quanto in giro, di smalto e di candido avorio
riscintillava, e d’oro fulgea tutto quanto e d’elettro.
Un drago, poi da centro spirava indicibile orrore,
che con pupille oblique fissava, e brillava di fuoco;
145e nella bocca una fila correva di candide zanne,
terribili, funeste. Sovr’essa l’orribil sua fronte,
Contesa svolazzava, che gli uomini a guerra schierava,
funerëa, che il cuore, che il senno rapiva ai mortali
che faccia a faccia, contro pugnassero al figlio di Giove.
150Erano ancora qui figurati l’Attacco e la Fuga,
la Strage quivi ardea, lo Strepito ardea, l’Omicidio,
vi furïava il Tumulto, la Rissa, la Parca funesta,
che un uomo or or ferito stringeva, uno illeso, ed un altro
morto, e lo trascinava, ghermitolo al pié, tra la zuffa.
155* L’anime loro, poi, s’immergono sotto la terra,
entro nell’Ade, l’ossa d’intorno alla madida pelle