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57-89 LO SCUDO DI ERCOLE 95

     E questi Cigno uccise, di Marte il magnanimo figlio,
ché lo trovò nel bosco d’Apollo che lungi saetta,
lui con suo padre Marte, che mai non è sazio di guerre,
60chiusi nell’armi, come barbagli di fiamma che arda,
ritti sul carro ambedue: scalpitavano i ratti corsieri,
l’unghie battevano, e intorno bruciava la polvere ad essi,
percossa sotto il carro massiccio ed il pie’ dei cavalli.
Il ben costrutto cocchio squillava, squillavan le ruote,
65correndo due corsieri. Lieto era il fortissimo Cigno,
perché sperava il figlio possente di Giove e l’auriga
uccidere col bronzo, vestirsi dell’armi sue belle.
Ma non l’udí Febo Apollo, mentr’egli pregava: ché invece
accrebbe contro lui a forza del figlio di Giove.
70E tutto quanto il bosco d’Apollo Pegàso e l’altare
riscintillava per l’armi del Nume tremendo e di Cigno,
dagli occhi loro un fuoco fulgeva. Qual mai dei mortali
l’ardire avrebbe avuto di farsi a lui contro, se togli
Ercole, e il suo suo scudiero Iolào? Ma ben grande
75era di quell’eroe la forza, ma invitte le braccia
sopra le membra massicce sporgevan dagli òmeri fuori.
Al suo possente auriga, cosí disse allora, a Iolao
«Iolào, campione a me diletto fra gli uomini tutti,
molto di certo peccò contro i Numi signori d’Olimpo,
80Anfitrïóne, quel dí che a Tebe dal fulgido serto
venne, che avea Tirinto lasciata, la solida rocca,
poscia ch’Elettrïóne, pei bovi cornígeri, uccise.
Lieti lo accolsero quelli, gli diedero quanto era d’uopo,
quanto a un fuggiasco offrire si deve, e gli resero onore.
85E lieto egli vivea con Alcmena sua sposa, dal vago
malleolo. E a luce noi, dopo un breve trascorrere d’anni,
tuo padre ed io venimmo, che d’indole pari e di senno
non eravamo punto: ché il senno a lui tolse il Croníde,
sicché, la casa sua lasciata ed i suoi genitori,