705Tale frastuono sorgeva dall’urto guerresco dei Numi.
E scatenavano venti tremuoto e polvere a nembi,
col tuono, coi baleni, col folgore fuligginoso,
dardi del sacro Giove, portavano l’ululo e i gridi
in mezzo agli uni e agli altri: sorgeva clamore incessante 710dalla terribile zuffa, parea della gesta l’orrore.
Da un lato infin piegò la pugna: ché prima alla pari
stavano gli uni e gli altri di fronte, nel cozzo gagliardo.
Ma tra le prime schiere destarono l’acre battaglia
Cotto con Briarèo, con Gía non mai sazio di guerra, 715che ben trecento massi lanciavan dai pugni gagliardi,
sempre via via piú fitti, copriano i Titani con l’ombra
dei colpi; e infine, sotto la Terra dall’ampie contrade
giú li cacciarono, stretti li avvinsero in dure catene —
ché li domaron col braccio, per quanto fortissimi — tanto 720sotto la terra giú, quanto è il cielo lontan dalla terra,
che dalla terra è tanto lontano il Tartaro ombroso.
Ché nove dí, nove notti piombando, un’incude di bronzo
giú dalla Terra, sarebbe nel decimo al Tartaro giunta.
Tutto d’intorno un recinto di bronzo lo stringe; e la notte 725con tre giri d’intorno s’effonde al suo collo: ivi sopra
son della Terra, del Mare che mèsse non dà, le radici.
Vivono immersi in questa caligine oscura i Titani,
nascosti, pel volere di Giove che i nuvoli aduna,
in una squallida plaga, dov’ha l’ampia terra i confini. 730Né uscita hanno di qui, ché porte di bronzo v’impose
Posídone, e d’intorno vi gira una grande muraglia.
E quivi abita Gía, con Cotto, con Brïarèo
magnanimo, fedeli custodi, all’Egíoco Giove.