Pagina:Poemi (Esiodo).djvu/184

70 ESIODO 594-616

Come allorché nei loro profondi alveari, le pecchie
595nutrono i pigri fuchi, compagni d’ogni opera trista:
esse l’intero dí, sin che il sole si tuffa nel mare,
sinché la luce brilla, riempiono i candidi favi;
e, rimanendo i fuchi nel fondo agli ombrosi alveari,
mèsse nel ventre fanno di ciò che raccolsero l’altre:
600similemente, a danno degli uomini, Giove che tuona
dal ciel, pose le donne, compagne d’ogni opera trista.
E un altro male, invece d’un bene, anche inflisse ai mortali:
chi, per fuggire i tanti pensier’ che le femmine dànno,
schiva le nozze, e giunge soletto all’esosa vecchiezza,
605non ha, seppure nulla gli manca, nessun che l’assista;
e quando viene a morte, dividon lontani parenti
fra lor la sua sostanza. Chi poi vuol marito il destino,
quand’anche abbia una moglie pudica, di mente assennata,
col tempo, anche per lui si bilanciano il bene ed il male.
610Ma quello che s’imbatte con una di trista genía,
nutre, per tutta quanta la vita, una smania nel seno,
nell’animo, nel cuore, rimedio non c’è del suo male.
     Né trasgredire si può, né frustrare il volere di Giove.
Neanche Prometèo, di Giapeto il benefico figlio,
615all’implacato suo sdegno sfuggí: con fatale potenza
immani ceppi lui costrinsero; e tanto era scaltro.