ed esse dànno oblio nei mali, e riposo dai crucci.
Con lei Giove dal sonno profondo s’uní nove notti. 55salendo — e nulla i Numi ne seppero — il talamo sacro.
E quando un anno poi fu trascorso, e tornâr le stagioni,
furon distrutti mesi, compiuti molteplici giorni,
essa, non molto lungi dai picchi nevosi d’Olimpo,’
nove fanciulle die’ a luce, di mente concorde, che tutte 60amano il canto, e scevro d’affanni hanno il cuore nel petto.
Intreccian quivi molli carole, quivi hanno le case;
e presso hanno soggiorno le Grazie e il soave Desio,
sempre in diletto. Ed esse, l’amabile voce effondendo,
cantan di tutti quanti le leggi, ed i santi costumi 65dei Numi, alte accordando le voci dolcissime al canto.
Mossero allora all’Olimpo, levando l’ambrosie canzoni
liete di loro voci. D’intorno echeggiava a quell’inno
la negra terra, ed era soave dei piedi la romba,
mentre moveano al padre Croníde signore del cielo, 70che regge il tuono in pugno, che regge la folgore ardente,
poscia che il padre Crono domò con la forza, e a ciascuno
degli Immortali assegnò, con equa ragione, gli onori.
Cosí cantâr le Muse che hanno soggiorno in Olimpo,
le nove figlie nate da Giove signore possente, 75Tersícore, Polímnia, Melpòmene, Urania, Talía,
Euterpe, Erato, Clio, Callíope: è questa fra tutte
egregia, essa dei re venerandi mai sempre compagna.
Quello dei re nutriti da Giove, cui rendono onore,
cui miran, quando nasce, le figlie di Giove possente, 80a cui versano sopra la lingua una dolce rugiada,
e le parole di bocca gli sgorgan piú dolci del miele,
guardano quello tutte le genti, quando esso le leggi
parte con equa giustizia: quand’egli securo favella,