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PREFAZIONE xcix

e la sua voce effonde dall’alba sinché dura il giorno,
nell’afa esosa, quando piú Sirio prosciuga la pelle:
i dí quando le reste compaion sui chicchi del miglio,
ch’è seminato l’està, quando invaiano i grappoli acerbi.

È la medesima precisione di particolari spostata al medesimo fine e schietto sentimento agreste: e non è indegno di Esiodo.

Cosí, in due tratti caratteristici della poesia d’Esiodo, il poemetto si dimostra intonato a quella, e non impari. Naturalmente, sarebbe però imprudente concludere da ciò ad una legittima paternità esiodea. Anzi, per quanto possa valere una impressione personale, a me pare che qui, nel complesso, accento d’Esiodo non ci sia.

Ma, in ogni modo, il poemetto è significativo per un fatto. In esso troviamo, a fronte a fronte, e quasi direi dosate nella stessa misura, l’imitazione d’Omero e l’imitazione d’Esiodo.

Ora, mentre quella dà frutti stentati e privi di sapore, questa ne produce alcuni che rivaleggiano con quelli dell’albero originario. Effettivamente, nella terra di Beozia l’influsso omerico, anche se presente, è di scarsa efficacia: sulle fantasie e sui cuori ha feconda efficacia il canto del poeta contadino di Ascra.