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xcviii | ESIODO |
Ed anche piú significativa è la pittura di Ambascia (Ἀχλύς). Perché, secondo ogni verisimiglianza, il poeta non aveva per questa, come per le altre figure mostruose, modelli delle arti figurate: qui lavorava di proprio, e si studiava di dar forma concreta ad una delle note orride personificazioni della fantasia popolare.
E presso a loro stava la querula Ambascia odiosa,
pallida, magra, cascante di fame, le gambe stecchite,
e l’unghie lunghe lunghe sporgean dalle dita: colava
dalle narici moccio, cadevano giú dalle guance
stille di sangue; ed essa, con grande stridore di denti
stava, e sugli omeri suoi si addensava la polvere fitta,
molle di pianto.
Tutti questi orridi particolari sono curati con lo stesso amore che un altro poeta consacrerebbe ad un pittura di bellezza. E da questa amorosa diligenza, e dalla efficacia che innegabilmente esercita sul nostro spirito la sua pittura, possiamo giudicare il grado di commozione, d’ispirazione che lo sostenne nel tratteggiarla; e caratterizzare la sua sensibilità, la sua personalità artistica.
Ora, questo amore per l’orrido l’abbiamo già rilevato come una caratteristica di Esiodo. Non però cosí predominante come appare in questo poemetto. E l’eccesso potrebbe far pensare ad un imitatore, propenso, al solito, ad esagerare le caratteristiche del modello.
D’altra parte, la maestria di queste figurazioni è molta. E non minore quella che si svela in un altro brano, unico, ma prezioso, di pittura agreste.
Erano i dí che la bruna canora cicala, sul ramo
tenero verde, a cantare comincia l’Estate ai mortali,
che solo ha per bevanda, per cibo, la molle rugiada,