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PREFAZIONE xcvii

Qui il poeta si trova proprio a suo agio. Si legga la descrizione della città assediata, e si dica se non riesce a farla vivere dinanzi ai nostri occhi, tanto evidenti e precisi tutti i particolari.

E anche piú care sono alla sua fantasia le creature mostruose che la fantasia popolare immaginava partecipi o provocatrici di zuffe mortali. Ecco, fra le altre, una Parca.

Bruna di sangue umano sugli omeri aveva una veste,
terribilmente guatava, gridava, strillava a gran voce.
E, piú che non si dica terribili, teste di serpi
v’erano, dodici; e in seno spiravan terrore ai mortali.
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Un uomo or or ferito stringeva, uno illeso, ed un altro
morto: e lo trascinava, ghermitolo al pie’, tra la zuffa.

Si potrebbe immaginare che dopo questa pittura, il poeta fosse sazio. Macché: nel brevissimo àmbito del poemetto egli trova modo di offrircene, nella pittura della città assediata, una replica non meno accurata e non meno efficace. Le Parche

livide, dietro ad essi, dai candidi denti stridendo,
torve, terribili, tutte coperte di sangue, implacate,
rissa d’intorno ai caduti facevano, cupide tutte
di bere il negro sangue. E quei che ghermissero prima,
già spento, oppur caduto, ferito di fresco, su quello
l’immani unghie una d’esse gittava, e lo spirito all’Ade,
al Tartaro cruento scendeva; e quand’eran poi sazie
di sangue umano, dietro di sé lo gittavano, e ancora
novellamente, correndo, moveano alla strage, al tumulto.

E cosí pare si delizi nella pittura del drago che lingueggia in mezzo allo scudo, o delle Gorgoni che si avventano sul fuggiasco Perseo.