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il giaurro 167

Lieve è al meschin che cessi il duol conforto,
975Se mesta solitudine il circonda
Poi che il duolo cessò men crudo fora
Al vuoto sen l’affanno ond’era colmo.
Abborre l’uom quello che niuno in terra
Con lui divide; tormentoso è il bene
980Che godersi dee solo, e al cor che resta
Desolato così, convien sollievo
Trovar nell’odio alfin. Misero core!
Ei vive sì, ma qual vivrebbe salma,
Che a sè d’intorno trascinarsi il freddo
985Verme sentir potesse, e allor che il sozzo
Sul sonno suo corrompitor festeggia,
Abbrividir, ma d’ogni forza priva,
Onde il lento scacciar de la sua creta
Divorator. Misero core, ei vive!
990Ma simile all’augello del deserto,27
Che il sen col rostro si dilania, e accheta
Il pigolar de l’affamata prole,
Nè un lagno manda, per sua vita in ella
Così trasfusa, se il devoto petto
995Recando ai figlj, abbandonato il nido
Trovasse, e i figlj via fuggiti. Acerba
Tanto, pena non v’ha che all’infelice
Dolce non fora, nell’orrendo vuoto,