Ma son vigili, e pronti, e sguardo e braccio;
Del suo sorriso i deschi lor giulivi85
Unqua non sparge, eppur, tacito, e fosco
Qual è, sé l’aman perché ognor felici
Ne fur le imprese. La purpurea tazza
Per lo suo labbro invan si colma; scorre
Indelibata, e vil suo cibo è tanto,90
Ch’anco il più sozzo de’ seguaci suoi
Se lo vedrìa non assaggiato innanzi.
Scarso e misero pan, scarse radici
De l’orticello, e poche frutta estive
Songli umil pasto, e qual conceder suole95
A digiun lungo squallido eremita.
L’effeminato lusingar de’ sensi
Ei così spregia, e in povertà sì dura
Par che lo spirto suo nutra, e satolli.
» Olà, a quel lido....» e salpan tosto....» or questo100
» Facciasi».... è fatto....» or v’ordinate, e pronti
» Me seguite».... e van’essi, e in un istante
Conquistata è la preda, e così l’opre,
Rapide son come gli accenti, e tutti
Piegano al suo voler, ed osan pochi105
Chieder qual sia, perchè un severo sguardo
Tronca ogni dir su l’indiscreto labbro,
E risponder disdegna.