Pagina:Poemi (Byron).djvu/143


il giaurro 139

Ed a quel lusinghevole mescea,
330I suoi concenti! Ahi! Su l’amena riva
Non fia ch’Hassan più mai l’antico fianco,
Quando imbruni il crepuscolo, riposi.
Il rio fuggì ch’empiea l’adorna fonte;
Versato è il sangue che in suo cor fervèa!
335D’ira, di duol, di gioja, umana voce
Quì mai più non s’udrà, ch’ultima, trista
Nota l’aura fè greve, e fu di Donna
Feroce esequia, lamentìo di morte;
E lo sperse il silenzio; e tutto è muto;
340Sol de l’imposta, allor che mugge il vento,
Il percotere ascolti; e giù a torrenti
N’abbia varco la piova, e la bufera
Soffj, non fia man che la chiuda, e sempre
N’udrai lo strepitar. Qual, su la gabbia
345Del deserto, trovar fora contento,
Ruvida sì, ma traccia d’uom, quì voce,
Anco di duol, consolatrice un’Eco
Svegliar potrìa, che ti dicesse almeno
» Tutto, no, non perì! Languendo vive,
350» Quì alcun, ma vive!» Oh, perchè regna in seno
De l’auree stanze solitudin tanta!
Perchè ne l’alta cupola, l’edace
Lenta distruzïon s’apre la via!