Pagina:Poemetti italiani, vol. XII.djvu/234

230

     Discendo al labbro, ov’han leggiadra sede
Il riso lusinghiero, i molli baci:
Ah qui la musa il suo pennello cede
40Al nume scotitor d’accese faci;
Egli che sol di tai dolcezze è fabbro
Al vivo puote ricopiar quel labbro.

     Ecco le gote morbidette u’ ’l giglio
Alla rosa contrasta il primo impero;
45Non ha Flora il sembiante sì vermiglio,
O l’Aurora più roseo il sentiero;
Il naso profilato, il picciol mento
E la chioma che sparsa ondeggia al vento.

     Poscia il tornito alabastrino collo
50A se m’invita e ’l palpitante seno...
Ahi qui non basta il tuo favore Apollo
E la scola pittorica vien meno!
Poi, un Genio pudico mi divieta
Di quella colorir beltà segreta.

     55Già sorge il busto e i rilevati fianchi
E la gamba leggiadra e il piè sottile:
Al lavoro non è parte che manchi,
E di natura ricopiai lo stile;
Ma se vedo il ritratto e poi Teresa
60I diffetti dell’arte mi palesa.