Pagina:Poemetti italiani, vol. XI.djvu/155


151

Ciascuna si risente, anima, e come
Sciolta da lungo sonno, o messe l’ale,
180Si muove, in alto vola, e su pell’onde
S’aggira; e un viver morto, un nido angusto
Muta in libero albergo, e in nobil vita.
Sì disposte le cose, attende il punto,
Che su quel mare il Sol, che nasce, obliquo
185Ferisca; ed ogni vento allora, ogni aura
O ne l’ingrato ozio incatena, o manda
A increspar le vicine onde Tirrene.
Allor, qual se di noi pendesse a fronte
Gran tela di cristallo, ecco riflessi
190Veggiam d’esta riviera in lei gli obbietti,
Però che il Sol ne sorge a tergo, e addensa
Umida notte que’ vapor, cui dietro
S’ergono di Messina i monti opachi,
Che, se lice affrontar col meno il sommo,
195Son pur del vaporoso aereo specchio
Gli argenti o i piombi, artefice Natura.
Ma qual fu quello, cui su l’altra riva
Levò per acciecar l’Augel Latino
Il gran Siracusano, o quel cui drizza
200Ne gli erbosi eruditi orti reali
Il Gallico pittor della natura,
Tale il pendolo specchio è in mille specchj
Partito; e sì pini ben cento un pino
Produce, ed in cento archi un arco solo