E sventolante i bei crin d’oro a l’aura.
Ma perchè alfin le crude noje, e prole
Delle noje inquieta i desir nuovi
Non guidi al Vago la conforme vita, 155E i giorni d’un color sempre ritinti,
Tai moltiplici viste e care scene
L’illustre Maga immaginò, che furo
Da noi pur colte, e che pel suo Filino
(Tale ha nome il Garzon) sol finge e addita. 160E però quando il vede sazio e lasso
Dal ripetuto careggiar, da i lunghi
Abbracciamenti giacer freddo e muto,
Gli offre il vago spettacolo, ed il volto
Rallegra giovanil. Come ciò s’opri, 165Chi più vanta d’ingegno in queste piagge
Narra che tal n’è il magistero e l’uso.
Sparse da pria l’accorta Maga in questa
Riva di mar tale una sua d’ignote
Materie, che antimonio, e quarzo, e dirle 170Selenite ascoltai, tessuta arena,
E sue terre anco per que’ monti ed erbe
Pose, le braccia, e il piè vagando ignuda,
E i carmi aggiunse, onde travolti andaro
Dal corso i rivi, e impallidisti, o Luna. 175E tal de’ carmi sacri è il suono arcano,
Che le parti minor d’essa mistura,
Sol che raggio Febèo le punga alquanto,