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Sul convito di Furfedo; sconfitto
Era il nemico: ma Tontormo altrove
Volse la faccia vergognoso e tristo
Che d’Oinamora sua teme lo sguardo.
O dell’alto Fingal sangue verace,
Malorco incominciò, non sia che parta
Dalle mie sale inonorato: io teco
Vo’ che una luce di beltà sen vegna;
La vergine di Furfedo dagli occhi
Lento giranti: ella gioiosa fiamma
Nella tua bellicosa alma possente
Raccenderà, nè inosservata, io spero,
Passerà la donzella in mezzo a Selma
Fra drappello d’eroi. Si disse, io stesi
Nella sala le membra: avea nel sonno
Socchiusi i lumi; un sussurrar gentile
L’orecchio mi feri; parea d’auretta
Che già si sveglia, e primamente i velli
Gira del cardo, indi sull’erba verde
Largamente si sparge: era cotesta
D’Oinamora la voce; ella il notturno
Suo canto sollevò, che ben conobbe
Ch’era l’anima mia limpido rivo
Che al piacevole suon gorgoglia e spiccia.
     Chi mai, cantava, (ad ascoltarla io m’ergo)
Chi dalla rupe sua sopra la densa
Nebbia dell’ocean guarda pensoso?