Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/60

Pelope ottenne, che regnar vi fece
Le sue leggi, e il suo nome! Africa sola,
Sola Numanzia all’uno, e all’altro Scipio
Titolo eterno non daran sul Tebbro.
Dalla sua grande, e ben tentata impresa
Il suo Scipio vivente Adria pur noma,
E sculto, e vivo in ricordevol marmo
Lascia ai nipoti l’efficace esempio.
Anzi pur suo campion dall’alma fede
Di guerrier Pileo, e di gemmato brando
Delle scose dal ciel gemine chiavi
Arbitro in terra il Vatican l’onora.
So, come affise sull’Adriaco Trono
Fra l’uguaglianza delle patrie leggi,
La clamide in usbergo, e l’aureo corno
Mutando in elmo, ai polverosi campi
Tornò di guerra, condottier supremo.
Al suo partir, fausto tonando a manca
Il ciel sereno, risonar s’udiro
Di Vaticinj le festose arene.
Pronti dal fianco a fulminar su i mari
Lo seguian cento abeti. Altier su tutti
Mettea le antenne il glorioso Pino
Portator dell’eroe. Destro le vele
Tendeva il vento, e sotto il curvo rostro
Fea l’ampio flutto, obbediente al corso,
Diviso biancheggiar di larghe spume.