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Toccar non osa, fin dagli anni primi
Giurommi fede. Egli nel fido labbro,
Egli nel fido petto, egli nell’opre
Me, non timido porta. Io nel suo core
Imperturbabil regno: e tu, che il dei
Ne’ tuoi carmi adombrar, mirami, e pensa,
Che tanto degne sorgeran le lodi,
Quanto me tutte somigliar potranno.
Disse, e su gli occhi miei nel pieno lume
Di sua beltà rilampeggiar lo vidi;
E tutta allor commossa, i’ non so come,
Da se sentii l’impaziente lira
Tendersi a maggior suon, tutta ondeggiarmi
D’armonico tremore in man repente,
Quasi miglior divinità l’empiesse.
Ed io di me maggior già dalla forte
Vetusta gente, già dall’alte gesta,
Onde tanto per gli avi in pregio crebbe,
A lui volea, come per calle adorno
Di domestico onor, scender col canto.
Ma, no riprese il Nume. Uopo non ave,
Costui da tanta origine disceso,
Che della gloria sua. Perchè l’altrui
Mal ti volgi a cercar? Sai pur, che dono
Di virtute non è, ma di fortuna,
Un illustre natal. E a chi fu dato,
Pria che, venendo nell’eteree piagge,