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Fra i lenti solfi de la stigia riva;
Giuro, che i tardi secoli più bella
Per me vedranno rifiorir la pianta,
Che pe’ i germogli de l’annoso tronco
Da la caliginosa ombra de’ tempi
Signoreggiata da l’obblio tenace,
Porta a noi de’ magnanimi Rangoni
Il non mai stanco propagato onore.
     Se a te nascente io non negai la pura
Onda, che sgorga da l’aonio sasso
Fra l’ombre d’odoriferi mirteti;
Se le spirate idee con facil vena
Di non ingrato verseggiar pareggi:
Tu, che potesti al ricordevol petto
Fidar tesoro de le mie parole,
Tu le divulga, e ne’ sublimi carmi
Fa che ammirato se ne sparga il suono;
Suono immortal, che de’ fugaci venti
Non sarà sovra l’etra ingrato scherzo,
Nè temerà, che nel volubil corso
Seco alfin lo travolva entro i letei
Gorghi il torrente rapido degli anni.
     Così fermò la Diva, e a i sacri detti
Qui chiuse il labbro. E qual se d’Anfitrite
Pe’ i lati campi, fra le nere nubi
Adunatrici del mugghiante nembo,
Sublime luce folgoreggia, e svela