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Lungo i fonti di Pindo amo le cetre,
E co’ britanni numeri l’erranti
Vie de’ mondi volubili misuro.
Poi con più mite cura a l’arti belle
Volgo il sagace indagator pensiero.
Io talor chiusa entro l’etnea lorica
Tratto il brando tra i forti, e tutta pende
Dell’armi la mutabile fortuna
Nel favor del mio cenno. Il sanno i campi,
Ove fu Troia, e la Nettunia Rocca,
Che del serrato triplice recinto
Più non serba vestigio in su l’arena.
A me cara è la terra. A voi, mortali,
Sconosciuta discendo. Atene un giorno
Sentì ne’ figli suoi del mio favore
Non invano implorata aura felice
Destare i Geni de la bella lode
Per l’onorate vie d’util fatica.
Crebbe per me de la togata gente
Su i soggiogati popoli l’impero,
E il mio Palladio assicurò la sorte
De le mura di Remo, e di Quirino.
     Ma che non può d’instabili vicende
Ferace ognor la lunga età vetusta?
Cara or Modena è a me: sovente io poso
Sul terren fortunato il cocchio, e l’armi,
Di mirar vaga in sul gentil Panaro