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In sul gran carro d’oro,
Giorni di viva luce eterna adorni,
Ch’ardono ai saggi, e si fan nebbia al volgo
Tale in cielo m’avvolgo,
E spesso i crini sanguinosi eccelsi
All’orribil cometa, e al folgor svelsi.
     Nè qui mi fermo: in alto
Verso il crudo aquilone, e nubiloso
Talor trascorro glorioso, ed alto.
Veggio l’una, e l’altr’orsa, e’l luminoso
Carro il pigro girar freddo Boote
Su le candide rote:
E Cefeo miro, e lo squammoso Drago;
Quinci sopra i trofei d’Alcide io seggio,
E mi fermo a mirar di Cassiopea
La bellissima imago.
E la Vergin Cretese, a cui cingea
Luminosa corona il crin, vagheggio;
Poscia il Pegaso veggio,
Ed il Delfin, che ad incontrarmi uscio,
Immaginando che Arion fuss’io.
     Passo dappoi vers’Istro
Alla parte più calda all’orse opposta.
Viemmi incontro il marino orrido mostro,
A cui fu ignuda in riva al mare esposta
Andromeda legata al duro scoglio:
A lui cade l’orgoglio,