Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/234

230

Il riposato contadin dal sonno
Sorge dal fianco della fida sposa
A salutare il faticoso giorno:
La sonante officina il fabbro schiude:
E all’interrotto meditar ritorna
Fra i mesti della Dea Pallade studj
Il figlio del saper; entro ai cenobj
Di ruvide vestiti atre cocolle
I solitarj a salmeggiar concorrono
Al Fattor della luce inni di laude.
     L’ognor crescente intanto, e vivo lume
Della natura il vasto campo scende
Ad occupar, e di se stesso il veste;
Per ogni dove si diffonde, e sferza,
Si ripiega, s’insinua, penetra
Per tortuose, e per dirette vie
A visitare i tenebrosi spechi,
Da spiragli sottil spruzza per entro
Alle superbe addormentate stanze
A risvegliar sulle oziose piume
Gl’impigriti del sonno inerti figli.
     Sulla faccia dei corpi egli si spazia
Percuote in mille guise, e in mille guise
Vien ripercosso; e la riflessa luce
Da opaco corpo ribalzando indietro
Con elastico più, ricca ne riede
Di prezioso furto, e nell’opposto