Che perfido il tuo labbro or di salvarmi 260Col tuo sagace amor si riconsigli!
Serba pur la tua fe, che inosservata
Sul tuo capo, sul mio vindice pena
Chiederà al giusto ciel. Lasciami, o padre,
Io te ne prego, che per poco io possa 265La steril mia virginità romita
Agitata, dolente, e per dirupi
Colle infelici mie compagne errando
Liberamente deplorar, l’estremo
Favor sia questo, e la tua destra al mio 270Affrettato tornar l’opra compisca.
Qui tacque angosciosa, e solo all’onta
Propria cedente, ed al dolor del padre,
Non al pensier della vicina morte.
Tacque, ma quell’umil dolce pallente 275Volto parlava in sua favella ancora.
Improvvisa pietà, subito orrore
Colpisce ognuno. Ognun si discolora
In viso, e muto si sogguarda, e trema.
Tenera più compassionevol scena 280Nè maggior forza in giovin cuor la terra
In pria non vide mai, o tal soltanto
La vide il mondo nell’adulto Isacco,
Unico amor del già cadente Abramo
Colà di Moria sulla vetta altissima 285Quando tentarne al ciel piacque la fede.