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     Nel veder senza voce e senza Vita
Steso il mio figlio sulla polve lorda,
Arsi di sdegno ver la razza ardita
Che in fabbricar saette i morti assorda.
Alla fucina lor calda e annerita
Corro, e un acuto stral metto alla corda,
E getto in un balen trafitti al piano
Gli abbronziti ministri di Vulcano.

     Sdegnato il Re de’ Numi, ad uomo eguale
Quà sulla Terra e in servitù mi rende,
E della vita fragile e mortale
Soggetto alle sventure e alle vicende.
Esule un anno fui: questo è il fatale
Dì che mia gloria il suo splendor riprende.
Or tu, che la miseria a me scemasti,
Ai beneficj avrai premio che basti.

     Esser non può che la funesta sorce
S’estingua in te del rio malor nocente;
Ma se lo stame che per te si force
Fia che la Parca un di recider rente
Evitarne potrai 1a ferrea sorce
Se altri in tua vece di morir consente.
Qui sfavillò di luce: arsero i lidi:
Vinto chinai lo sguardo è più nol vidi.