Presso la casa affumicata e nera
Sedea sull’erba in breve fascio unita:
Sciolto ha l’intatto crin, che bionda cera
Somiglia, allor dall’alveare uscita.
Canna forata imbocca e con leggiera
Mano vi alterna le veloci dita:
Chi mai ridir chi creder mai può quanto
Era in quell’armonia d’arte e d’incanto?
Talora imita il flebile usignolo,
Che dolce si lamenta in quella foce,
O chiama il cigno, che dolente e solo
Sfoga co’ canti suoi la pena atroce.
Dietro a quel suon, del querulo figliolo
Spesso la bianca vacca obblia la voce:
Il tenero giovenco, allor ch’ei suona,
La mammella vital spesso abbandona.
Un cornuto capretto erra e saltella
Intorno a lui, di lunghi velli ornato,
E rosicando va tacita agnella
L’erbe minute onde si veste il prato.
Bello è il suo volto, ed altrettanto bella
È la sua voce ed il suo canto è grato,
Che dopo il suon così dal labbro fuore
Manda, in note distinte alte e canore.