Ma poichè a mensa alfin, che di vivande
Copiosamente s’orna e si provvede,
Gustato ebber di cibi e di bevande
Quanto il bisogno natural richiede;
Admeto sospirò, poi disse: o grande
Figlio di Giove e di sua gloria erede,
A che mi sforzi a rammentarti adesso
La pena mia per funestar te stesso?
Se de’ sofferti un dì casi infelici
È ver che un’alma disacerbi il grave
Quando dalla pietà de’ cari amici
Narrando ottien compassion soave,
Tu che ai fieri contrasti e all’ire ultrici
Uso il tuo petto hai sol, che nulla pave,
Deh! alla pietà prepara il cor severo:
Molta io ne merto e molta ancor ne spero.
In sul fiorir della più dolce vita
Che lusingi il desio di noi viventi
Già fui felice, e quell’età gradita
E quel primo gioir sempre ho presenti.
Giovin, dal terzo lustro appena uscita,
Negli occhi vivi e nelle guance ardenti
Tutte di gioventude Alceste mia
All’altrui sguardo le primizie offria.