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     Ma colà giunto, ove gran turba ondeggia,
Diversa di maniere e di sembianti,
Tra le concave volte della Reggia,
Alte e di eco moltiplice sonanti;
Fiso alcun rimirando, avvien che veggia
Nei volti un resto degli estremi pianti,
Dei pianti estremi che in umil tributo
Pagansi degli estinti al cener muto.

     E il Rege istesso, che al primiero avviso
Corse a incontrarlo e oppresse il duol tiranno,
E sincero negli atti e in dolce viso
Allontanò l’idea del proprio danno,
Pur, disadorno il manto, il crin reciso,
Tradia col volto il mal celato affanno;
Onde, pria d’accettar gli amici amplessi,
Così lo interrogò de’ suoi successi.

     Deh! che t’affligge? E qual idea di morte
Le tue fedi insestar tanto ha potuto?
Forse i tuoi figli, o la fedel consorte
Spirar vedeesti, o il genitor canuto?
Per legge fu dell’immutabil sorte
Che li rapì l’inesorabil Pluto!
Gli tolse a te necessitade umana?
Fu frode altrui, fu nemicizia insana?