Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/153


149



CAPITOLO III.


     Per poco che a ferir Morte ci aspetti
La visiva virtù dell’occhio scema
Nè a discerner più val minuti obbietti,
     E ben chiamar si può miseria estrema
Di chi legger vorria, guarda, e non puote
E in perpetua convien noja che gema,
     Son l’ore sue d’ogni conforto vuote,
Ei tesori dell’arti e di natura
Diventano per lui ricchezze ignote.
     Eppur un Vetro in così rea sciagura
Tutto ripara, e da’ nostri occhi a un tratto
Fa qual larva svanir la nebbia oscura.
     Tal che esclama giulivo e stupefatto
” Rendasi al Vetro ogni dovuto onore
Che più bel dono all’uom Dio non ha fatto.
     Vedea l’antica età con suo stupore
Che il fuoco arde, discioglie, avviva e splende
Ed effluvio il credè del sommo Autore.
     Il volgo vil che quanto meno intende
Più s’invoglia a spiegar tutto da stolto
Di Prometeo sognò l’aspre vicende.
     Allo studio dell’arti ognor rivolto
Da Pallade costui fu in ciel rapito,
Vè al chiaro sol raggio di fuoco ha tolto.