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Mi stese in fronte, al di cui tocco, quale
Se talor cade piccola favilla
Sopra salnitro, e depurato zolfo,
Che il carbon polveroso in negri avvolse
Minutissimi grani, arde, e balena
Subita fiamma, e con orrendo scoppio
Introna l’aria intorno, e crolla il suolo:
Tal scuotermi allor sento da improvviso
Moto inusato: un freddo gel per l’ossa
Rapido corre, indi il calor succede:
L’intime fibre un fremito soave
Ricerca dolcemente, irta diventa
L’irrigidita chioma, e la presenza
D’un Nume agitator sento nel petto.
Ove son io? non è quello, che scorgo
Torreggiar maestoso, il Campidoglio
Di barbari, e di Regi alto spavento
Di Corintie colonne, e di sublimi
Portici cinto, e d’ondeggiante turba
Ripieno, non è quello il Roman foro?
Di parii marmi, e di spiranti, e vive
Immagini adornato ecco là surge
Di Pompeo il teatro. Oimè che miro!
Fermati, o Bruto, il furioso acciaro
A chi d’immerger tenti, oh Dio! nel seno?
Cesare non è questi? e non è questi
L’Eroe più grande, che formò natura?