Pagina:Poemetti italiani, vol. VI.djvu/84

Col crin disciolto e su gli omeri sparso,
Quale a Cuma solea l’orribil maga
Quando agitata dal possente Nume
Vaticinar s’udía. Cosí dal capo
Evaporar lasciò de gli oli sparsi
Il nocivo fermento, e de le polvi
Che roder gli potríen la molle cute,
O d’atroce emicrania a lui le tempie
Trafigger anco. Or egli avvolto in lino
Candido siede. Avanti a lui lo specchio
Altero sembra di raccôr nel seno
L’imagin diva: e stassi agli occhi suoi
Severo esplorator de la tua mano
O di bel crin volubile Architetto.
Mille d’intorno a lui volano odori
Che a le varie manteche ama rapire
L’auretta dolce, intorno ai vasi ugnendo
Le leggerissim’ale di farfalla.
Tu chiedi in prima a lui qual piú gli aggrada
Sparger sul crin, se il gelsomino, o il biondo
Fior d’arancio piuttosto, o la giunchiglia,
O l’ambra preziosa agli avi nostri.
Ma se la Sposa altrui, cara al Signore,
Del talamo nuzial si duole, e scosse
Pur or da lungo peso il molle lombo,
Ah fuggi allor tutti gli odori, ah fuggi!
Ché micidial potresti a un sol momento