Pagina:Poemetti italiani, vol. VI.djvu/81

A’ miei versi l’orecchio, et odi or quale
Cura al mattin tu debbi aver di lei
Che, spontanea o pregata, a te donossi
Per tua Dama quel dí lieto che a fida
Carta, non senza testimoni, fûro
A vicenda commessi i patti santi,
E le condizion del caro nodo.
Già la Dama gentil, de’ cui bei lacci
Godi avvinto sembrar, le chiare luci
Col novo giorno aperse; e suo primiero
Pensier fu dove teco abbia piuttosto
A vegliar questa sera, e consultonne
Contegnosa lo sposo il qual pur dianzi
Fu la mano a baciarle in stanza ammesso.
   Or dunque è tempo che il piú fido servo
E il piú accorto tra i tuoi mandi al palagio
Di lei, chiedendo se tranquilli sonni
Dormío la notte, e se d’imagin liete
Le fu Morfeo cortese. È ver che ieri
Sera tu l’ammirasti in viso tinta
Di freschissime rose; e piú che mai
Vivace e lieta uscío teco del cocchio,
E la vigile tua mano per vezzo
Ricusò sorridendo allor che l’ampie
Scale salí del maritale albergo:
Ma ciò non basti ad acquetarti, e mai
Non obliar sí giusti ufici. Ahi quanti