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A vie maggior fidossi, e fiero alfine
Entrò nell’alto, e il grande arco crollando,
E il capo, risonar fece a quel moto
Il duro acciar che la faretra a tergo
Gli empie, e gridò: Solo regnar vogl’io!
Disse, e volto a la madre: «Amore adunque,
Il piú possente infra gli Dei, il primo
Di Citerèa figliuol, ricever leggi,
E dal minor german ricever leggi,
Vile alunno, anzi servo? Or dunque Amore
Non oserà fuor ch’una unica volta
Ferire un’alma, come questo schifo
Da me vorrebbe? E non potrò giammai,
Dappoi ch’io strinsi un laccio, anco slegarlo
A mio talento, e, qualor parmi, un altro
Stringerne ancora? E lascerò pur ch’egli
Di suoi unguenti impeci a me i miei dardi
Perché men velenosi e men crudeli
Scendano ai petti? Or via, perché non togli
A me dalle mie man quest’arco, e queste
Armi da le mie spalle, e ignudo lasci
Quasi rifiuto de gli Dei Cupido?
Oh il bel viver che fia qualor tu solo
Regni in mio loco! Oh il bel vederti, lasso!
Studiarti a tôrre da le languid’alme
La stanchezza e ’l fastidio, e spander gelo
Di foco in vece! Or, genitrice, intendi: