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Che di lavacro universal convienti
Bagnar le membra, per tua propria mano,
O per altrui, con odorose spugne
Trascorrendo la cute. È ver che allora
D’esser mortal ti sembrerà; ma innalza
Tu allor la mente, e de’ grand’avi tuoi
Le imprese ti rimembra e gli ozi illustri
Che infino a te per secoli cotanti
Misti scesero al chiaro altero sangue,
E l’ubbioso pensier vedrai fuggirsi
Lunge da te per l’aere rapito
Su l’ale de la Gloria alto volanti;
Et indi a poco sorgerai qual prima
Gran Semidèo che a sé solo somiglia.
Fama è cosí, che il dí quinto le Fate
Loro salma immortal vedean coprirsi
Già d’orribili scaglie, e in feda serpe
Volta strisciar sul suolo a sé facendo
De le inarcate spire impeto e forza;
Ma il primo sol le rivedea piú belle
Far beati gli amanti, e a un volger d’occhi
Mescere a voglia lor la terra e il mare.
Fia d’uopo ancor, che da le lunghe cure
T’allevii alquanto, e con pietosa mano
Il teso per gran tempo arco rallenti.
Signore, al ciel non è piú cara cosa
Di tua salute: e troppo a noi mortali
È il viver de’ tuoi pari util tesoro.