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È Cavalier, che d’infiniti campi
Fece a la taciturna Algebra dono.
O sommi lumi de l’Italia! il culto
Gradite de l’Orobia pastorella,
Ch’entra fra voi; che le vivaci fronde
Spicca dal crine e al vostro pie le sparge.
In questa, a miglior geni aperta luce,
Il linguaggio del ver Fisica parla.
A le dimande sue, confessa il peso
Il molle cedente aere; ma stretto,
Scoppia sdegnoso dal forato ferro,
Avventando mortifera ferita.
Figlio del Sole il raggio settiforme
A l’ombre in sen, rotto per vetro obliquo,
Splende distinto ne i color de l’Iri.
Per mille vie torna non vario in volto;
Ne la Dollondia man docil depone
La dipinta corona: in breve foco
Stringesi, ed arma innumerabil punte,
A vincer la durezza adamantina.
Qui il simulato ciel sue rote inarca;
L’anno divide; l’incostante luna
In giro mena, e seco lei la terra.
Suo circolante anello or mostra or cela
Il non più lontanissimo Saturno.
Adombra Giove i suoi seguaci, e segna
Oltre Pirene e Calpe, ai vigil sguardo