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Te non veggente, e sotto la robusta
Pelle, di te lieta si pasce e beve
Secura il sangue tuo tra fibra e fibra.
Questo di vermi popolo infinito
Ospite rose un dì viscere vive,
E tal di lor, cui non appar di capo
Certo vestigio, qual lo vedi, lungo
Ben trenta spanne, intier si trasse a stento
Dai moltiplici error labirintei.
Qual ne le coste si forò l’albergo,
Col sordo dente; e quale al cor si pose.
Nè sol de l’uom, ma de gli armenti al campo
Altri seguia le torme; e mentre l’erba
Tondea la mite agnella, alcun di loro,
Limando entro il cervel, da l’alta rupe
Vertiginosa in rio furor la trasse.
Tal quaggiù de’ l’altrui vita si nutre,
Altre a nudrirne condannata, l’egra
Vita mortal che il ciel parco dispensa.
Ecco il lento bradipo, il simo urango,
Il ricinto armadillo, l’istrice irto;
Il castoro architetto, il muschio alpestre,
La crudel tigre, l’armellin di neve.
Ecco il lurido pipa, a cui dal tergo
Cadder maturi al Sol tepido i figli:
L’ingordo can, che triplicati arrota
I denti, e ’l navigante inghiotte intero.