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A te, che già tratta per man dal novo
Plinio tuo dolce amico, a Senna in riva,
Per li negati al volgo aditi entrasti.
Prole tra maschi incognita; rifiuto
Del dilicato sesso; orror d’entrambi
Nacque costui. Qual colpa sua, qual ira
De l’avaro destino a lui fu madre?
Qual infelice amore, o fiera pugna,
Strinse così l’un contro l’altro questi,
Teneri ancor nel carcere natale;
Che appena giunti al dì, dal comun seno
Con due respir che s’incontraro uscendo,
L’alma indistinta resero a le stelle?
Costui, se lunga età veder potea,
Era Ciclope; mira il torvo ciglio
Unico in mezzo al volto! Un altro volto
Questi porta sul tergo; ed era Giano.
Or ve’ mirabil mostro! senza capo,
Son poche lune, e senza petto uscito
Al Sol, del viver suo per pochi istanti.
Fece tremando e palpitando fede.
Folle chi altier sen va di ferree membra
Ebbro di gioventù! Perchè nel corso
Precorri il cervo, e ’l lupo al bosco sfidi,
E l’orrido cinghial vinci a la pugna.
Già t’ergi re degli animali. Intanto
Famiglia di viventi entro tue carni,