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Ora gli sguardi a sè, col fulgid’ostro
Chiaman de’ l’ali, e con le macchie d’oro.
Le occhiute leggerissime farfalle
Onor d’erbose rive; a i caldi Soli
Uscir dal carcer trasformate; e breve
Ebbero il dono de la terza vita.
Questa suggeva il timo, e questa il croco,
Non altramente che da l’auree carte
De’ tesori dircei tu cogli il fiore.
Questa col capo folgorante, l’ombre
Ruppe a l’ignudo american, che in traccia
Notturno va dell’appiattata fera.
E voi non tacerò, voi di dolci acque
Celeri figli, e di salati stagni:
Te, delfin vispo, cui del vicin nembo
Fama non dubbio accorgimento diede;
E pietà quasi umana e senso al canto:
Te, che di lunga spada armato il muso,
Guizzi qual dardo, e le balene assalti:
Te, che al sol tocco di tue membra inermi,
Di subita mirabile percossa
L’avido pescator stendi sul lido.
Ardirò ancor, tinta d’orrore esporre
A i cupidi occhi tuoi diversa scena,
Lesbia gentil; turpi sembianze e crude,
Che disdegnò nel partorir la terra.
Nè strane fiano a te, nè men gioconde;