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Aprì la vela, equilibrò la conca;
D’Africo poscia al minacciar, raccolti
Gl’inutil remi e chiuso al nicchio in grembo,
Deluse il mar: scola al nocchier futuro.
Cresceva intanto di sue vote spoglie,
Avanzi de la morte, il fianco al monte.
Quando da lungi preparato, e ascosto
A mortal sguardo, da l’eterne stelle
Sopravvenne destin; lasciò d’Atlante,
E di Tauro le spalle, e in minor regno
Contrasse il mar le sue procelle e l’ire:
Col verde pian l’altrice terra apparve.
Conobbe Abido il Bosforo; ebbe nome
Adria ed Eusin; da l’elemento usato
Deluso il pesce, e sotto l’alta arena
Sepolto, in pietra rigida si strinse:
Vedi, che la sua preda ancora addenta!
Queste scaglie incorrotte, e queste forme
Ignote al novo mar, manda dal Bolca
L’alma del tuo Pompei patria, Verona.
Son queste l’ossa, che lasciar sul margo
Del palustre Tesin, da l’alpe intatta,
Dietro a la rabbia punica, discese,
Le immani afriche belve? o da quest’ossa,
Già rivestite del rigor di sasso,
Ebbe lor piè non aspettato inciampo?
Chè qui già forse italici elefanti