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La fida imago dell’esterno obbietto.
     Tu, di questo o del primo ottico tubo
Avvalorando il curioso sguardo,
Allorché mezza della propria notte
Tace nell’ombre la volubil terra,
Veglia fra’ merli di solinga torre,
E le stellanti chiostre al guardo appressa.
Ma pria, novello Endimione, il volto
Fiso contempla della bianca Luna,
Che quale a lui nell’amorose grotte
Della Iatmia pendice, a te di furto
Par che s’accosti per l’aria serena,
E al cupid’occhio la lucente ampiezza
Fa grandeggiar del maculato disco.
Oh! quai di cavernose orride valli
E di pianure e d’isole prospetti
T’offre il pianeta regnator dell’ombre!
Le decrescenti sparse macchie e l’aspre
Ad ora ad ora lumeggiate parti
Son valli e monti, son lagune e mari,
D’isole sparsi e di minuti scogli,
Che d’apollineo raggio in varie guise
Riflettono allo sguardo; e tal darebbe
Spettacolo giocondo il suol che calchi,
Se tu dall’orbe dell’argentea luna
Mirar potessi quanto apre e circonda
Da Calpe profanata all’Adria estremo